Archivio per la categoria ‘Mystic’

Volontariato and Co.

Pubblicato: febbraio 7, 2012 in EVS in Romania, Mystic

Impossibilità visive.

Dubbi epilettici.

Spazi da riempire.

Vuoto liquido.

Lamenti eterni.

 

Bene, ecco quello che ho trovato girando di centottanta gradi i miei occhi; cercando di guardare dentro i miei pensieri.

Devo far luce sui miei pensieri, e devo farlo il più velocemente possibile. Qui non si tratta solo di volontariato o di questo progettino lungo nove mesi. Qui si tratta di una ragione di vita. Si tratta di capire se sono disposto a fare questa vita, se sono disposto a continuare in questa strada ben poco definita che è il mondo dell’assistenza umana.

Stay Human, Vittorio. Tu me l’hai insegnato, ed hai donato la tua stessa vita alla tua causa. Dimenticato da molti, ma non da tutti caro Vittorio. Io mai potrò dimenticare quell’immagine che ho di te, con quei bimbi. Ed il tuo sorriso in quella foto. Rabbia contro la parte del mondo in cui vivo, questo ho provato quel giorno. Rabbia nel leggere il tuo blog, nel leggere la tua biografia. Rabbia che continuerò a provare senza mai smettere di lottare nella mia vita per quello che voglio.

Ma non è facile come sembra. Mille dubbi mi attanagliano e continuo a sentirmi come inutile a volte, in questa terra straniera.

I Rumeni sono veramente simili a noi. Forse è proprio questo il vero problema che mi sta distruggendo il fegato. Voglio e devo conoscere altri tipi di culture, altre tipologie di società. Voglio ed esigo l’alternativa. Ne ho bisogno.

Qui stiamo facendo un bel lavoro. Ma non un ottimo lavoro. L’associazione è uno scandalo, un luogo aperto solo ed esclusivamente per ricevere fondi dall’Unione Europea. Incredibile. Scrivi un progetto in Romania, e prendi soldi. Oramai fanno tutti cosi in questo posto.

Location: Horezu. Autostop alle 18:00 per tornare a Targu Jiu. Un uomo mi carica, con me altri 3 rumeni. Tutti pagano alla fine del viaggio, tranne io, ovviamente. Io sono straniero, se voglio posso contribuire, ma la maggior parte delle volte, semplicemente non è necessario farlo. In ogni caso in quella macchina ho capito tante cose; tante perchè quel tizio parlava in una specie di inglese quindi siamo riusciti a comunicare qualcosa; inoltre ha scritto non so quanti progetti insieme ad un suo amico per ottenere sti diavolo di fondi strutturali. E ci è riuscito alla fine. Il problema è che questo individuo l’ha fatto solo per i soldi. Ci ho parlato un’ora e non ha fatto che dirmi: io lo faccio per i soldi, non me ne frega niente di cambiare la società, non me ne fotte una minchia ( in inglese mi ha detto semplicemente “I don’t care about the romanian society…) di tutte le persone che non hanno soldi in Romania, perchè qui se vuoi lavorare qualcosa da fare lo trovi sempre. Un tizio assurdo. Forse assurdo è la parola che mi viene in mente giusto perchè io certo di mantenere una certa coerenza mentale ed un’onesta intellettuale. Che il più delle volte mando a zoccole per stronzate. In ogni caso, questo era un Rumeno medio. Come lui, il presidente della nostra associazione. Ed il project manager. Ed i trainer che abbiamo avuto nell’incontro a Predael, la valutazione che l’agenzia nazionale rumena fa a metà progetto.

Scoraggiato e deluso? Logico. Qui non sto soltando impegnando il mio tempo giocando e passando ore con i bimbi e con i ragazzi dell’asilo e delle medie. Volevo fare qualcosa di vero e di potente. Di puro. Per me stesso e per la mia vita.

E lo sto facendo.

Ma esigo il cento per cento da me stesso. E qui non riesco ad esprimerlo. E, soprattutto, esigo il rispetto dagli altri, ma il Rispetto dovrebbe essere scritto sempre con la lettera maiuscola. E loro lo dimenticano, semplicemente perchè non è costume preoccuparsi troppo dei volontari o di coloro che vengono da una differente parte dell’Europa.Triste. Triste come gli occhi del nostro Alex; o come quelli di Bianca quando cercano di mentire o di girare la frittata dalla loro faccia. Dannato inglese. Devo migliorarlo assolutamente. Non posso farmi raggirare da persone cosi solo per la mia mancanza di vocaboli. Devo arricchire la mia esperienza e la mia personalità. E inoltre studiare ancora. Studiare e leggere per tutta la mia vita non è comunque abbastanza. Ma non posso fermarmi. Mai.

Solo che questo percorso comincia ad essere minato da tali schifezze. Siamo proprio sicuri che è il mio percorso di vita? Ed io che sto iniziando a guardare per il servicio civile italiano all’estero…

Sarà la stessa schifezza?

Io posso scendere a compromessi, se effettivamente quello che andrò a fare sarà soddisfacente. Ma se dovessi ripetere quest’esperienza per un’altra volta ancora? Io non voglio solo imparare e imparare dalla vita. Voglio anche mettermi in gioco nel dare qualcosa in più a queste persone.Non sarò Ghandi, nè nessuno di speciale. Ma in ogni caso sono dell’idea che ognuno di noi ha l’opportunità di far riflettere coloro che ci circondano. Far riflettere è grandioso. Forse quella persona rimarrà sempre nelle sue condizione, ed ovviamente il mio scopo non è quello di cambiare le menti degli individui…ma semplicemente riflettere insieme agli altri. E capire.

Sto iniziando a capire perchè qui le cose non funzionano. Perchè i Rumeni vengono in Italia. Perchè quando vengono in Italia ci sono un certo tipo di problemi. Sto iniziando a capire qualcosina sui Rom; tutte queste cose messe insieme stanno migliorando la mia persona, facendomi riflettere tantissimo.

Frequentando persone dalla Lituania, Francia, Austria, Spagna, Portogallo, è ancora più entusiasmante per quanto mi riguarda. Mi esalto a stare insieme a loro, a chiedere e domandare delle loro esperienze di vita, della loro società, del loro modo di vivere.

Ma non mi basta. Io voglio di più dalla vita, voglio lottare per vedere i miei sogni realizzati. Voglio vivere le mie emozioni condividendole con gli altri. Voglio cercare di cambiare la società. Cambiare la società non è qualcosa di positivo? Non è qualcosa di rispettoso nei confronti degli altri? Da un certo punto di vista si. Ma io sto cercando di cambiare la parte malata, la parte che non rispetta i sentimenti, la parte che dimentica la bellezza dell’umanità, la parte che dimentica ogni singolo giorno della sua esistenza che il denaro non ha alcun valore se si lasciano morire persone di continuo senza curarsene.

Voglio proseguire su questa strada; di questo sono sicuro.

Ma a che prezzo? Sono disposto a scendere a compromessi per tutto il resto della mia vita? Quanto ancora potrò resistere a queste condizioni?

 

R.

Feste, festicciole, e festività

Pubblicato: dicembre 25, 2011 in EVS in Romania, Mystic

Questo è il primo Natale in vita mia che passo in terra straniera. Che sensazione si prova? Tanta tristezza e solitudine.

Sembra scontata come risposta, sembra banale, ma il ricordo di tutti i pranzi e le cene trascorse con la mia famiglia è vivido nella mia mente: tutti gli anni andavamo a casa dei miei nonni materni per celebrare la cena di Natale! Non è mai stato un fatto religioso per quanto mi riguarda: è vero che dieci anni fa le miei radici cristiane erano radicate nella mia anima talmente tanto forte che non avrei mai potuto affermare quello che dico adesso, e cioè che il Natale non conta un accidente di niente per quanto mi riguarda. Anzi, non fa altro che infondermi rabbia e nervosismo contro tutte quelle persone che si ricordano di essere umane soltanto in questa giornata. E via con l’elemosina, con le buone azioni, con le puttanate a pieno regime.

Io ho un’idea diversa di queste feste. Per me è legata all’idea della famiglia, all’idea delle tradizioni da mantenere, all’idea di tornare nel proprio paese natale e stare tutti insieme! Famiglia, amici distanti, universitari e emigranti, tutti! In questo periodo non manca nessuno. E quest’anno manco io.

Molto ma molto triste per quanto mi riguarda. Non siamo ancora nella tragedia, ovviamente!

Ieri è stata una bella giornata: ieri mattina siamo andati io e Gintare, la ragazza dalla Lituania, in un paese di montagna vicino a Novaci, si chiama Ranca. E’ un resort turistico di medie dimensioni, con molti turisti (il termine “molti” naturalmente va adattato alla Romania) e qualche straniero. Ci siamo avventurati in una splendida passeggiata nel bel mezzo della montagna, alla stupenda e inebriante temperatura di meno 10 gradi; stavo per schiattare di freddo, ma nel momento in cui ci siamo fermati, nel momento in cui siamo rimasti immobili nel bel mezzo di una strada piena di neve e ghiaccio, tutto si è trasformato: silenzio, tanto tanto tanto silenzio come mai avevo ascoltato. Chiusi gli occhi, il panorama di fronte a noi è scomparso dentro una nuvola: nè sole, nè uccelli, nè uomini, nè luce, nè ombra; nulla. E tutto.

Sentivo il respiro della Terra. Sentivo me stesso, nudo, immobile, immateriale di fronte a tutto quello che mi circondava. Impotente e dio. Uomo e animale.

Non riesco nemmeno a contare tutte le emozioni provate di fronte allo spettacolo della Natura. Quanto mi sono sentito piccolo in quelle montagne che ogni mattina mi sembrano cosi lontane.

Dannata Romania! Chi poteva mai immaginare che riservasse delle emozioni cosi belle? Dannatamente vero che prima di parlare di qualsiasi cosa, bisogna viverci insieme.

E per finire, ieri sera c’è stata una simpaticissima cena con tutti gli altri volontari: ognuno di noi ha cucinato un piatto diverso, è stata un’altra bella serata passata con persone cosi differenti da me.

Ed ogni giorno scopro qualcosa di nuovo sugli altri volontari: Gintare che mi parla della sua famiglia, Patricia del suo lavoro nella libreria della sua città in Portogallo; ed aggiungo sempre più mattoni al muro della nostra amicizia. Muro che non farò in tempo ad ultimare, ovviamente: quando finiremo questo progetto, saranno trascorsi nove mesi. Pochi per conoscere realmente qualcuno, pochissimi per capire chi hai di fronte. Da un lato è meglio cosi: il distacco sarà più facile, probabilmente. Anche se, conoscendomi, la vedo dura a fine maggio ad abbandonare tutti gli altri. Non saremo il miglior gruppo di volontari del mondo, tre di noi hanno deciso di abbandonare il progetto, ma l’ambiente multiculturale che sto vivendo è stimolante in una maniera incredibile: il mio cervello lavora di continuo per tradurre in un inglese decente, per spiegare quello che diavolo sta succedendo nel nostro paese, per spiegare le mie esperienze di vita, e per cercare di capire le storie di coloro che mi circondano. Non è per nulla facile, ma è troppo divertente!

Trarre un bilancio di questo venticinque dicembre? Tutto sommato positivo, nonostante l’ouverture totalmente negativa di questo post. Questo per ribadire ancora una volta la mia instabilità emotiva perenne!

Fra due giorni tornerò a casa. Il 27 dicembre sarò di nuovo in Italia per un paio di settimane; non è cambiato niente in questi quattro mesi, continuano a ripetermi.

Già so la mia risposta: qualcosa è sicuramente cambiato.

Io.

 

 

R.

 

 

In Romania non esiste l’immigrato; non si parla di immigrazione. Non hanno problemi come questo, o quest’altro; ed è inutile aggiungere altri link sulla vicenda: l’Italia è un paese sottosviluppato in quanto a politiche sull’immigrazione. Abbiamo una legge, la Bossi-Fini, degna di un’Italia fascista e qualunquista in cui eravamo segregati fino a un mese fa (senza commentare l’attuale governo Europeista, dato che ancora non cercano di proporre alcuna misura economica in parlamento); continuiamo a confinare nei CPT, che si dovrebbero chiamare Lager (difficile dimenticare l’inchiesta di Gatti), persone che scappano da guerre, dalla fame e dalla miseria a cui noi li condanniamo giorno dopo giorno (lavandoci la coscienza con donazioni quotidiane ad associazioni religiose, che fanno capo a quest’uomo qui: usasse i soldi dello IOR invece di dire idiozie in continuazione); facciamo finta di essere ospitali, aperti di mente, onesti, “compagnoni”, e poi non appena vediamo una persona di colore/albanese/rumeno/zingaro/mezzostrano che ci chiede un euro per mangiare, storciamo il muso e lo mandiamo a cagare; se non lo mandiamo a cagare verbalmente, lo facciamo nella nostra testa; seppure gli diamo quell’euro totalmente inutile per noi, lo facciamo a malincuore, con la speranza di non incontrarne di altri.

Purtroppo non è facile. Io capisco la situazione, voglio comprendere coloro che in Italia perdono il proprio lavoro dato che i Rumeni lavorano in nero, per tredici ore al giorno, prendendo lo stesso salario di un italiano che lavora 5 ore al giorno. E’ normale che cominci a diventare razzista. Loro stessi te lo dicono quando ti metti a parlare della loro esperienza in Italia (dato che tutti i rumeni sono stati da qualche parte a lavorare, chi per un mese, chi per cinque anni, chi ancora si trova all’estero): Asta este, ti rispondono. Questa è la vita. Loro lo sanno che stanno rubando lavoro agli italiani, lo sanno che dopo un pò se ne torneranno in Romania. Sanno che con i soldi che guadagnano in Italia per un anno, ci vivono cinque anni nel loro paese natale. Sanno che gli italiani li odiano non perchè sono rumeni, ma perchè vengono in Italia a lavorare per quattro soldi (e per loro non sono proprio quattro soldi…).

Asta este.

Di solito lo Stato, il Governo interviene dove il buonsenso dei normali cittadini non arriva. Di solito i politici sono persone chiamate a ricoprire un incarico in rappresentanza di tutta la popolazione, per legiferare e migliorare la vita di ogni singola persona del proprio paese. Amor di patria, amore verso l’umanità dovrebbero spingere un individuo a mettersi in gioco come politico. Questa non è proprio l’idea che io ho dei politici italiani. Inutile spiegare il motivo.

Non voglio fare discorsi populisti. Mi limito soltanto ad osservare la realtà circostante.

In Romania non fanno altro che parlare o considerare il fatto di andare all’estero a lavorare. Io non riesco a dirvi se la vivono male o bene. Non amano il loro paese a tal punto da cercare di cambiare qualcosa sul serio. Un tizio mi ha detto: “Noi Rumeni siamo come voi Italiani, siamo praticamente uguali: entrambi ci lamentiamo del nostro paese, ma se qualcuno si azzarda a parlarne male, reagiamo subito malissimo!” Avrei voluto spiegargli che per noi la situazione è leggermente diversa: l’Italia sarà anche una latrina a cielo aperto, ma in tutti i paesini, in tutte le realtà sociali riesci a trovare qualcuno che si impegna per migliorare la situazione. Che poi sia ispirato dalla religione, dal denaro, dalla sete di potere, poco importa. Qui ho l’idea che non hanno la capacità di mettersi in gioco al livello sociale. O forse, è solo la realtà di un piccolo centro. Naturalmente a Bucarest è totalmente diverso. Ma città come Timisoara, Craiova, Cluj (e stiamo parlando di realtà con piu di trecentomila abitanti) non brillano certo di attivismo culturale/sociale. I giovani non vedono l’ora di andare via.

Asta este.

Logico che vogliono fuggire via. Quando sei straniero in terra straniera è tutto più semplice: non devi interessarti della politica. Se lo fai, in ogni caso, non ti farai mai coinvolgere al cento per cento; è impossibile. Puoi sparare sentenze sul tuo paese d’origine ogni volta che vuoi, dato che ti senti al di sopra di quei sfigati che sono rimasti “a casa”.

Asta este.

Io non so proprio che pensare, invece. Mi sento lontano dalla mia patria, dall’Italia, per la prima volta in vita mia. Per la prima volta uso il concetto di “patria” di “nazione” di “terra natia” quando parlo con altre persone. Per la prima volta cerco di difendere la mia terra e la mia origine. Per la prima volta cerco di non buttare merda continuamente sull’Italia. Ma spiego; continuo a spiegare mille volte il motivo del nostro fallimento politico; continuo a parlare della semplicità della nostra popolazione, delle nostre umili origini che ci hanno condannato al ventennio berlusconiano. Spiego la nostra ignoranza e la nostra idiozia sociale.E’ strano. Veramente strano.

Da un lato non ho la minima intenzione di fermarmi a girare il mondo. Il solo fatto di conoscere mille persone differenti ti apre la mente; lo stimolo a proseguire un percorso di vita internazionale è fortissimo.

Solo che. Solo che.

Mi sento sconfitto. Mi sento come se non avessi provato realmente a fare qualcosa per il mio Paese.

Ripenso a tutte le manifestazioni, alle proteste giovanili, all’attivismo sociale, all’attivismo culturale; a tutte le ore spese in azioni di vario genere; a tutte le parole spese di fronte ad una tazza di birra, di fronte ad un bicchiere di vino, a parlare con i tuoi amici di quante cose belle si potrebbero fare. Tutte le idee avute, tutte le proposte ricevute.

Buttare tutto nel cesso cosi? Dopo nove mesi di Volontariato Europeo?

Asta este?

 

R.

Bucuresti

Pubblicato: ottobre 31, 2011 in EVS in Romania, Mystic

Bucarest. Old Town. Viali enormi. Pochi turisti. Tanti lavori in corso, di cui pochi portati a termine(o almeno questa è l’impressione, dato il modo di lavorare che hanno). Tanti Rom. Tanti poveri per le strade. Gli uomini della sicurezza privata dappertutto, e per dappertutto si intende: dentro le metro, fuori dai pub, dentro i pub, fuori le chiese. Tanta polizia in giro per la città. Polvere,sporcizia, e odore di incenso vicino le chiese. Segni della croce, continuamente. Ti senti quasi eretico ad entrare in quei templi che loro considerano sacri, mentre osservi quelle semplici persone baciare in maniera ossessiva quelle icone tempestate d’oro e d’argento. Nulla di meno sacro per te. Ma nei loro occhi, nei loro corpi, non puoi fare a meno di notare la forza della religione. Ti inquieta, quasi ti ottenebra la mente.

Vedi tanti rumeni, pochi stranieri. Come al solito, tanti italiani in giro, anche quelli che vengono nel tuo albergo per affittare una stanza per tre ore, giusto per “rilassarsi un pò”. Gipsy,Rom,Nomadi. Sono loro i proprietari di questa città; sono loro l’argomento principale di molti rumeni che vivono qui; sono loro ad aver occupato tutti i palazzi popolari del centro storico; sono loro che vendono i calzini, gli accendini, candele, candelabri e tutta una serie infinite di cianfrusaglie inutili agli angoli delle strade; sono loro che gridano continuamente sugli autobus, nelle metro; sono i loro figli che giocano a calcio in mezzo alle strade infestate da quei mostri che noi chiamiamo “automobili”, rischiando di finirci sotto: ma nei loro occhi c’è ben altro che la paura della morte. Nei loro occhi c’è la voglia di giocare, di divertirsi, di essere bambini normali; che naturalmente non saranno mai. Un bambino con un’infanzia normale, giusta, formativa per la sua persona, non resta alle undici di notte a giocare a pallone davanti al centro commerciale; non chiede l’elemosina nella metro con il cucciolo più piccolo che abbia mai visto, mangiando un “covrig” appena raccolto per terra; non gioca a lanciarsi le pietre con il suo amico in mezzo alle persone non curandosi di ciò che gli accade intorno; non aspetta l’ora di chiusura del centro commerciale perchè sa che il ristorante di specialità rumene gli preparerà un bel panino gratis. Non è questa la vita che dovrebbero avere questi piccoli; fa male all’anima concepire una simile eventualità sociale.

Non so quanto avrebbero da lavorare gli assistenti sociali in Romania; so solo che questo paese è entrato nell’Unione Europea, ha accesso ai Fondi Strutturali destinati allo sviluppo delle aree arretrate, ha accesso ad un’infinità di finanziamenti che i maggiori stati europei stanno perdendo; non mi sognerei mai di dire che è sbagliato o giusto o inutile o utile dare i soldi a questo paese; dico solo che scene simili fanno veramente male al cuore. Fanno venir voglia di prendere tutto e tornarsene a casa, altro che EVS!

Poi, tutto sommato, ci si ferma a riflettere.

Si cerca di comprendere, e si cerca di guardare la realtà con occhi diversi. Con gli occhi del tassista di sessant’anni che ti porta alla stazione degli autobus e comincia a raccontarti tutta la storia politica/economico/sociale della Romania degli ultimi anni: ti spiega che quello che ci sta adesso è come Ceaucescu, che i politi non pensano al benessere della popolazione, che gli unici soldi che arrivano sono quelli dell’Unione Europea, ma che ben presto finiranno anche quelli; ascolti quelle stesse lamentele che ti porti dietro dal tuo paese: echeggiano continuamente parole di corruzione, di classe politica inadeguata, di problemi sociali che nessuno tenta di risolvere, di povertà, di ricchezze nelle mani di pochi costruttori-palazzinari-ladri; non sono miei pensieri, mi limito semplicemente a tradurre i pensieri di un povero tassista stanco e stremato da una vita di lavoro; che mi considera appartenente ad un mondo totalmente diverso al suo non appena ho pronunciato la frase “Eu sunt din Italia”; ciò significa che io appartengo a quella parte del mondo fortunata.

Poco a poco riesci a renderti conto sempre di più della realtà dove vivi; Bucarest, la capitale di questo paese, sembra incarnare tutte le contraddizioni, tutte le difficoltà, le lotte, gli scontri sociali che rivedi in maniera più piccola nel paesino rumeno.

L’aggettivo “bello” è uno degli ultimi che useresti per definire questo luogo. Ma è troppo facile cadere nel classico errore del giudizio superficiale. Preferisco scegliere un altro ricordo, quello che realmente mi resterà impresso per molto tempo dopo questa breve visita alla capitale della Romania: quel piccolo uomo, con il pallone sgonfio in mano, che mangia avidamente il panino donatogli dalle due donne del ristorante. Fiero, come un guerriero, non ha pronunciato una sola parola di ringraziamento. Finito il panino, ha preso il pallone sottobraccio, ed è andato via, fuori dal centro commerciale, nella fredda notte di Bucarest.

 

R.

Era una volta…

Pubblicato: Maggio 10, 2011 in Mystic

Trascorso un mese circa dal mio ultimo post, torno a buttare giù due righe nel mio spazio preferito. L’intervento al mio occhio destro non mi ha permesso di stare davanti al pc per troppo tempo ultimamente, facevo fatica a fissare per troppo tempo il monitor.

In ogni caso, adesso va un pò meglio e sentivo il bisogno di tornare alla mia cara tastiera.

Sono successe tante cose, la maggior parte delle quali decisamente destabilizzanti per la mia salute mentale. Ma andiamo con ordine, o almeno ci provo.

Ho riflettuto molto un questi giorni di clausura fisica e morale. Ho riflettuto molto e letto poco. L’intervento all’occhio mi ha sconvolto l’esistenza per due settimane buone: mi sono ritrovato a pensare a chi nella vita è handicappato. A chi non ha un braccio, a chi non ha le gambe, a chi perde la vista, l’udito.Allora ho fatto un esperimento stupido e superficiale. Ho chiuso gli occhi e mi ero promesso che per un’ora non li avrei mai aperti: dopo cinque minuti li ho riaperti. Ho avuto paura e un senso di smarrimento.

Mio nonno è stato male in questo periodo, l’età avanza e inizia ad indebolirsi, sia di fisico che di testa. Inizia ad emozionarsi quando ripensa alla sua vita; gli occhi gli si riempiono di lacrime quando ripensa agli eventi del suo passato. Non riesce a finire alcune frasi senza l’aiuto della nonna. Comunque, è stato una settimana in ospedale; ora sembra stare meglio, nonostante una bronchite appena guarita. Ma parla sempre di meno, tossisce di più, e inizia a scoraggiarsi. Io vivo insieme a lui; mi trovo in difficoltà. Abbiamo sempre parlato molto a casa, soprattutto del suo passato. Ho imparato forse più cose da mio nonno che nelle aule universitarie. Nei suoi occhi ho visto la fame che ha patito cinquant’anni fa durante la guerra, ho visto la sua umiltà e la sua modestia; ha rinunciato ad essere un carabiniere di servizio per tornare alla sua terra, dicendo di no ad uno stipendio sicuro e ad una pensione a cinquant’anni. Ha preferito spaccarsi la schiena sulla terra, perchè “quello mi piaceva fare e quello ho fatto. La pistola non la volevo portare, e la guerra non dovrebbe esistere”! Quante volte mi ha ripetuto questa frase. Quante volte gli sono lacrimati gli occhi quando racconta della terra: “bisogna saperlo fare il contadino! Non si impara da un giorno all’altro ad essere contadini!” E io gli rispondo sempre: “Nonno, oggi le cose sono più facili: c’è internet, ci sono i libri, ci sono quelli che ti spiegano come devi fare le cose!”. Mi guarda, mi fissa e mi dice ogni volta: “Ecco perchè oggi si vive meglio di una volta! Ah, se incontro qualcuno che dice che si stava meglio una volta….Tu non gli devi credere mai!!Non è vero che si stava meglio una volta!” E si infervora, si agita e mia nonna cerca di calmarlo. E io non insisto più. Iniziano a lacrimargli gli occhi quando ripensa a Mussolini, quando non c’erano le libertà, quando loro erano solo dei contadini ignoranti. Ci ripete sempre che oggi siamo fortunati e forse ha ragione sul serio. Una volta mentre parlavo con mio padre, dissi che in questo paese non c’erano più libertà di stampa ne di espressione con l’attuale presidente del consiglio; mio nonno interviene raramente quando mi lancio in sproloqui politici domestici, ma quella volta si è alzato e mi ha detto: “perchè oggi non ci sono le libertà? Oggi puoi andare in giro a dire quello che vuoi su Berlusconi, una volta non lo potevi fare!”. Bene, come zittire un giovane in tre secondi. Dicono che quando sei giovane preferisci agire senza riflettere; e posso dire che sto cercando di imparare a farlo, e non è per niente facile. Sembra facile, ma provate a riflettere (perdonatemi le mille ripetizioni): quante volte vi siete trovati di fronte persone che pronunciavano frasi senza alcun senso? Quante volte avete pensato “ma perchè questo dice/scrive ste stronzate?”.  La seconda lezione di vita ricevuta dal nonno è stato il rispetto: il rispetto verso le persone ignoranti, verso chi ha problemi di natura fisica e mentale, verso chi impiega un minuto a salire dieci scale, verso chi ha scelto nella vita di seguire i propri sogni, verso chi nella vita ha scelto di avere una pensione di cinquecento euro al mese, piuttosto che una di mille presa dieci anni prima, verso chi ha scelto di spaccarsi la schiena con la zappa in mano, verso chi ha vissuto senza la pretesa di essere nulla di più e nulla di meno di un contadino. Non ho mai guardato nessuno dall’alto verso il basso, ma purtroppo ho sbagliato un sacco di volte: ho dato dell’imbecille, del superficiale, dell’ignorante a non si sa quante persone dentro di me. In quei momenti non ho mai riflettuto come avrebbe voluto mio nonno. Ci sono persone che non hanno avuto la possibilità dell’accesso alla conoscenza. E’ un fatto storico, e non è colpa di nessuno. Mio nonno si è dovuto fermare alla quarta elementare, anche se dice sempre che avrebbe voluto fare l’esame della quinta. Ma solo i figli dei dottori e degli avvocati proseguivano, a dieci anni dovevi andare in campagna. Quando vedo l’uomo che è mio nonno mi sento piccolo ultimamente; mi sento stupido, superficiale, presuntuoso, indegno, e inutile. Vedo in lui un grande esempio di vita, e non posso nemmeno dirglielo! Se lo facessi si emozionerebbe troppo e mi direbbe che non è vero, che lui non ha fatto niente nella vita e che noi giovani possiamo e dobbiamo cambiare questo paese, perchè noi abbiamo studiato, perchè noi sappiamo come funzionano le cose! Non lo sa che sono un povero idealista con le idee cosi confuse da non sapere nemmeno in che binario incanalare la mia di esistenza. Non gli posso spiegare quanti problemi mentali, quante lacrime affiorano ai miei occhi ogni giorno a causa della mia inconcludenza. Non gli posso dire che vorrei rinnegare questo paese che non sento più mio; non posso raccontargli che sto facendo di tutto per partire all’estero per fare il volontario. Ci resterebbe male: ha sempre pensato che io volessi cambiare le cose, ed è sempre stato orgoglioso di me. Io non ce la faccio a pensare che posso deludere un uomo come lui. Mio padre capirebbe, forse, le mie future scelte di vita. Mio nonno no. Lui è bello, è puro, è semplice ed ha vissuto una vita bellissima nonostante non abbia fatto nulla di rilevante. Ma in quell’Italia, cosa volevi fare? Per andare ad Atri, il paese più vicino, ci mettevano mezza giornata perchè non c’era la strada e avevano solo una cavalla, che molte volte serviva per la terra. Bisognava andare a piedi se serviva qualcosa di importante. Bisognava andare a piedi a scuola, e la più vicina stava a tre chilometri: che poi era la casa di una signora che insegnava a questi bambini di sei, sette anni. Tre chilometri si facevano! Da soli, in mezzo alle campagne! Chissà che bel gioco doveva essere per loro!

La sua vita è stata, è tuttora, stupenda. Ma come posso dirglielo? Non capirebbe e non approverebbe tutto quello che ho scritto qui. E mi direbbe “stammi a sentire, ora ti spiego io com’erano le cose una volta!” E via con i racconti: con la descrizione della casa dove vivevano, con i buchi nel tetto, con gli il freddo per tutto l’inverno, in trenta li dentro. Con i lavori da fare, con la guerra. Ho sentito tante volte il romanzo della sua vita, ma mai ho smesso di appassionarmi. E ci penso un sacco di volte. E penso alla mia vita, a quanto poco reggo il confronto di fronte ad una persona cosi importante.

Questi giorni sono trascorsi lentamente nella mia vita. Sono uscito pochissimo a causa dell’intervento, a causa di un mal di testa che non smette di tormentarmi, non capisco per quale oscuro motivo. E mi sono accorto che mi mancherà un sacco mio nonno quando non ci sarà più. Non voglio fare il pessimista, questo non è un pensiero negativo. E’ semplicemente un’affermazione con le lacrime agli occhi. Mi mancherai nonno, ma ti prometto che ogni giorno della mia vita cercherò di portare alto il tuo nome senza mai dimenticare quello che ho imparato da te.

Vi auguro di parlare con i vostri nonni, vi auguro soprattutto di saperli ascoltare.

R.

Sguardi

Pubblicato: marzo 15, 2011 in Mystic, Thoughts

Il mio livello di sopportazione è sceso drasticamente negli ultimi tempi, forse l’avrò già scritto, ma devo ribadirlo. Voglio ribadirlo perchè continuo a sentirmi a disagio in una maniera scandalosa. Io non riesco a crederci! Cioè, io ricordo quando avevamo diciotto, sedici, quattordici anni, che facevamo tutti quei discorsi da adolescente sulla vita, sui genitori, sul fatto che noi non saremmo mai stati falsi, ipocriti, borghesi: erano bellissimi! Erano ingenui, puri, nati da uno spirito intoccabile!

Non rimpiango naturalmente quei discorsi: adesso, a venticinque anni, non mi sento ancora cosi vecchio da doverli rimpiangere, sia ben chiaro! E non sono nemmeno il tipo che si tuffa nell’oceano dei propri ricordi, sospirando tristemente. Non è questo il mio caso. Purtroppo mi intristisco di fronte a coloro che l’ hanno dimenticato! I discorsi adolescenziali sono solo un esempio: il problema qui è che mi sento circondato da persone il cui stile di vita non rispecchia più quello che mi sembra essere importante nella vita di una persona.

Mi spiego meglio: vivere di convenzioni, di schemi sociali, di false emozioni e di finti interessamenti. Io non rientro in questa categoria di persone. Chiuso il discorso; cioè, in nessun momento della mia vita mi lancio in un discorso solo per stupire o colpire il mio interlocutore; non gli chiedo qualcosa se non mi interessa; non voglio stare con lui se non mi fa piacere la sua compagnia. Eccetera. In pratica, ho deciso di vivere per quello che effettivamente vale la pena vivere: i miei ideali. E i miei ideali non vengono e non devono essere messi in discussione da nessuno. Io non lo permetto.

Capite bene che questo problema è insormontabile nel momento in cui si vive socialmente con persone che non riescono a cogliere questo aspetto: quando un tuo amico ti chiede qualcosa di te, o ti giudica, o ti pone in una condizione di imbarazzo, che amico sarebbe?

Mi ritrovo a discutere o parlare con persone che mi guardano dall’alto in basso a causa della loro condizione sociale. Forse non è nemmeno vero, forse loro non si pongono in questo modo verso di me. Ma sono cambiati i loro occhi; un tempo erano ridenti, felici; adesso sembrano finti e costruiti. Adesso seguono ideali diversi dai miei. Ma qual’è il problema? Che io non me ne ero mai accorto, o che effettivamente sto costruendo castelli di carta? Sarà forse che sto cercando continuamente mettermi in una condizione sociale negativa? Sarà forse che non faccio altro che parlare negativamente di tutti quelli che mi circondano, per poi dipingere me stesso come un’anima pura e intoccabile?

No, sto cercando di evitare in tutti i modi questa deriva pericolosa. Non ho la minima intenzione di giudicare chi mi circonda, e io stesso mi sento pieno di mille difetti. Anzi, ne soffro continuamente delle mie impotenze, e della mia difficoltà nell’affrontare la vita. Ma, ripeto, combatto ogni giorno per affermare i miei ideali. Su questo non mollo di un solo centimetro, e non ho intenzione di arretrare di fronte a nulla. Neanche di fronte a persone che conosco da una vita; anzi, soprattutto di fronte a loro.

Io non riesco ad accettare la mancanza di tatto e la mancanza di interesse che hanno i miei amici. Veramente, non riesco a comprendere chi mi circonda, e continuo a pensare che il problema sia io. Io non mi sono ritrovato quasi mai a disagio nella mia vita nello stare in mezzo agli altri, adesso invece ho di questi problemi. Ho timore a parlare di me stesso e dei miei interessi perchè mi da fastidio non essere preso seriamente. E’ vero che io mi pongo in maniera non seria spesso, ma lo faccio per non sembrare un professore, un vecchio rincoglionito, o un adulto scassapalle. Solo che, nel momento in cui metto al corrente una persona di un qualcosa che mi piace, mi dispiace pensare che non gli interessa minimamente quello di cui parlo. La cosa più brutta che mi capita è iniziare un discorso e non avere la possibilità di finirlo perché chi ascolta cambia discorso: è spettacolare! Forse ciò avviene a causa della mia poca capacità di sintesi, che, ammetto, può essere un deterrente all’ascolto. Ma io non ho mai interrotto una persona che mi stava parlando di se stessa, nella mia vita. Anzi, quando vedo che qualcuno è interessato profondamente a qualcosa, non vedo l’ora di porgli mille domande! Sono curiosissimo e molto interessato a ciò che pensano gli altri! E voglio imparare da chi mi circonda, dalle loro esperienze di vita!

Bene, ho capito che non tutti vedono il mondo come lo vedo io. Questo purtroppo, mi è ben chiaro. Possibile però che mi senta circondato da persone che, nel momento in cui inizio a parlare di come mi piace fare una foto (come tante altre cose), dopo un pò il loro sguardo comunica sempre le solite cose? E’ demotivante! Nel momento in cui sto parlando e vedo queste cose, mi passa all’istante la voglia di essere li. Che poi, ho notato, maggiore è il numero di persone presenti, maggiore è il disinteresse verso il singolo, maggiore è invece l’interesse verso il gruppo: in pratica aumenta la voglia di essere benvoluti da tutti i presenti, o di essere notati da tutti i presenti, piuttosto che interessarsi ad uno solo. E’ una strana impressione che ho, una stupida legge sociale che teorizzo da un pò di tempo. E mi lascia un’amarezza dentro infinita. Odio queste cose, odio l’indifferenza, la mancanza di curiosità delle persone che mi circondano; odio la loro voglia di divertimenti futili e di…. ma non continuo, e la seconda volta che parlo di queste cose, e non voglio ripetermi di nuovo. Ho già scritto delle mie difficoltà di fronte agli altri, e adesso volevo spiegarle ancora meglio; sono convinto che molte persone si trovino in questa situazione; solo che non vorrei fare la solita scelta di rinchiudermi dentro casa mettendo un muro di fronte a chi penso si comporti in questo modo. Perché, in tal caso, non dovrei più frequentare anima viva.

Quindi la soluzione quale sarebbe? Quello dei rapporti umani è il quesito che mi angoscia nel profondo.

Qualcuno si salva da questo discorso? Pochissimi, una quantità microscopica di persone rispetto a quelle che mi circondano; e per me, la cosa, è inconcepibile. Non ha alcun senso rapportarsi ad un altro pretendendo che questa persona sia o faccia quello che noi vogliamo. Io sono fiero di essere me stesso e di portare avanti la battaglia della mia vita: non ho la minima intenzione di arrendermi, almeno non ancora. E dovrei circondarmi di persone che stanno sedute ad osservarmi dall’alto del loro minimo interesse e dei loro molteplici giudizi?

Non esiste. Ma non solo non esiste, io molto probabilmente sarò costretto a raffreddare i rapporti o ad non essere più me stesso. Siccome la seconda scelta mi farebbe del male, devo tuffarmi versa la prima. E nel frattempo come devo comportarmi con queste persone? Da falso e ipocrita? O dovrei spiattellar loro tutto questo bel discorso? Si, in effetti questa sarebbe la soluzione migliore: sedermi li ad un tavolo e mostrare a tutti le mie idee sull’argomento rapporti umani. Per poi concludere le mie amicizie nel giro di un secondo, immagino! E comunque non capirebbero, ne modificherebbero il loro comportamento verso di me. Perchè il menefreghismo umano resta lo spirito più forte che aleggia negli individui; l’uomo è egoista e portato alla conservazione di se stesso: gli altri sono concepiti solo ed esclusivamente per far star meglio noi stessi.

R.

Futurend

Pubblicato: marzo 7, 2011 in Mystic, Thoughts

Leggere i dati sull’università italiana provoca un intenso imbarazzo. Anzi, diciamo che più che imbarazzo, ti lasciano una tristezza infinita. Le tabelle di Almalaurea sono devastanti: non le incollo in questo post, perchè mi sale una rabbia infinita nel leggerle; vi incollo solo i link 1 2 3 4. Cito solo il fatto che continuo a non capire come nel duemila e undici in Italia sia possibile che le donne prendono in media il 15-20% in meno di un uomo a parità di lavoro. Questa è follia allo stato puro. E vi prego di NON leggere l’articolo del corriere di Mario Sensini ( Link articolo ) in cui si mettono a confronto gli stipendi italiani con quelli europei: in Italia i lavoratori guadagnano in media il 32% in meno (sullo stipendio lordo) rispetto ai lavoratori europei. E’ fantastico!

A prescindere dai dati e dalle cifre, che di per sè indicano molto, ma comunque non bastano, è la visione che hanno gli italiani sulla nostra università: c’è un calo di iscritti, i neo-laureati guadagnano poco, spesso non lavorano in quello per cui si sono laureati, percepiscono come un non-laureato, e per di più sono socialmente considerati come persone che non hanno voglia di lavorare ergo si buttano nello studio. Diciamo che è un quadro triste per il destino di un paese che appartiene al G8; e io rimpiango l’epoca in cui andavo alle scuole superiori, anni in cui avevo tutta un’altra idea del mio futuro, della mia vita, e dell’università: ero contento di potermi lanciare in un’esperienza nuova, ero totalmente convinto che avrei fatto qualcosa di nuovo, qualcosa di entusiasmante! Ero felice che un giorno avrei potuto lavorare in un ambito interessante per me, ed i primi anni ero totalmente preso da queste idee positive. E’ brutto sentire le persone che si iscrivono in questo periodo all’università: tutti parlano di lavoro, di soldi e di “sbrigarsi a finire”; io parlavo di cose molto differenti: nelle aule universitarie si discuteva del nostro futuro, del futuro dell’Italia, e  si parlava di politica, di come sarebbero potute cambiare veramente le cose. Ed etichettavamo gli studenti che non interagivano con noi come “menefreghisti borghesi figli di papà del cavolo” mentre noi invece stavamo li a parlare di viaggi all’estero, di cambiamenti e di rivoluzioni. Non passava giorno in cui non tornavo a casa contento della mia scelta, felice di quello che stavo vivendo, e stressato continuamente dallo studio. Avevo lo zaino sempre pieno di fotocopie, avrò fotocopiato un’intera biblioteca in quelle diavolo di copisterie! Per non parlare dei libri presi in prestito: ero iscritto ad una decina di biblioteche universitarie diverse, andavo a studiare una volta da una parte, una volta dall’altra. Vedere tutti quei ragazzi sopra i libri, che parlavano di esami, di serate da fare, di uscite, di ragazze da conquistare, di ragazzi da vedere, sentivi “ti presento un mio amico” mille volte intorno a te, sentivi la freschezza delle idee, la gioia della vita. Sapevi di coloro che dovevano lavorare per mantenersi gli studi, di coloro che dovevano fare due lavori per mantenersi gli studi, di quelli che cambiavano facoltà, di quelli che si laureavano con una rapidità imbarazzante; di quelli che partivano per l’Erasmus, e di quelli che venivano in Erasmus. Parlavi con mille persone diverse, conoscevi mille volti nuovi, e molti di loro li dimenticavi la mattina dopo.

Mi manca l’università, e mi mancano le persone che hanno reso quell’esperienza cosi stupenda. Non posso nominare tutti coloro che hanno condiviso tale percorso con me, per motivi futili; ma ognuno di loro ha una parte del mio cuore per l’eternità.

Io non riesco a concepire un paese che non investe nei sogni nei giovani. Non posso immaginare un paese in cui un ragazzo di diciotto anni non ha la possibilità materiale di poter vivere ciò che ho vissuto io: smettiamola di pensare al lavoro, ai soldi che guadagneremo, a come vivremo in futuro. Pensiamo a quello che ci stanno togliendo; pensiamo a quello che i miei piccoli nipotini non potranno mai vivere, pensiamo a quello che ci stanno rubando: ci stanno rubando la voglia di sognare. E’ tutto qua il problema: io voglio vivere in un paese che non si tira indietro di fronte ad un giovane ricercatore; voglio vivere in un paese dove, se una persona sceglie di seguire un percorso di studi nella sua vita, viene appoggiato dalla società che lo circonda; e se vuole divertirsi, oltre a studiare, ha il diritto,il dovere di farlo! Voglio vivere in un paese in cui non bisogna vergognarsi delle proprie scelte, in cui ad un ragazzo che ha studiato per anni, e per quegli stessi anni ha lavorato come cameriere per mantenersi gli studi, gli venga dato atto che è una forza per tutto lo stato; voglio vedere gli studenti orgogliosi di studiare in luoghi splendidi chiamati ” Culle della cultura”; non ce la faccio a sentire ragazzi, adulti, politici senza anima, giudicare o affossare la nostra università. Un luogo che forma le coscienze, che risveglia l’anima degli individui, che scalfisce il tuo cuore fino alla fine dei tuoi giorni. Bisognerebbe valorizzare questi luoghi, dargli sempre più vita, dargli sempre più forza e consacrarli a tempio del futuro! Invece assistiamo continuamente alla denigrazione dell’università italiana e dei suoi studenti. Mi fa male, mi fa male sentire un ragazzo che ha timore a dirti ” Io faccio l’università…però vado anche a fare qualche lavoro, eh!”; non ci siamo! Non è questo quello che dovremmo urlare! Siamo il futuro, il futuro di questo paese malato! Io vorrei sentire le persone orgogliose per quello che hanno creato nella loro vita universitaria, orgogliose per la loro crescita morale e intellettiva.

E invece ci distruggono. Lo stato ci toglie tutto, e cerca anche di farlo il più velocemente possibile. I migliori emigrano; gli altri sognano di emigrare; dove andremo a finire? Quale sarà il nostro futuro se ce ne andremo via tutti? Quale quello del nostro paese? Dobbiamo lavarcene le mani e lasciare che tutto vada a farsi fottere? O dobbiamo resistere, con il rischio quasi certo di restare senza nulla in mano e, soprattutto, nel cuore? Continuare ogni giorno ad accumulare rabbia? O partire via, fuggire e sorridere finalmente verso altri paesi che non ci umiliano?

La risposta, amici miei, soffia nel vento, come diceva Bob; che poi, questo vento, che direzione ha preso?

R.

Ricerca

Pubblicato: marzo 1, 2011 in Mystic, Thoughts

Diciamo che parlare di me stesso mi mette sempre una condizione poco piacevole. Questa è stata da sempre una mia caratteristica: sono abbastanza restio a parlare e discutere della mia vita, delle mie scelte, e di me stesso; evito che il discorso vada a impattare su questi argomenti. Perché? I motivi sono diversi e, mi sono reso conto, ci penso raramente. Ma stavolta voglio fare un eccezione, voglio tentare di venire a capo o almeno, di seguire un filo logico.

Non mi sento a mio agio con me stesso. Il primo motivo che mi viene in mente è questo; non c’è molto da spiegare, e mi sembra alquanto scontato che una persona che ha problemi con se stesso, non ama discuterne con chiunque gli stia di fronte. Comunque, sono abbastanza irritato da mie incapacità personali e da alcuni fallimenti che mi hanno toccato particolarmente; ho preso e mi sono chiuso in me stesso; peccato che chiudermi in me stesso non è servito ad altro che ad aumentare l’irritazione che provo verso di me. La vita è fatta di molteplici cadute e di molteplici sfide da vincere; mi sento sconfitto; ma sto provando a reagire: già scrivendo queste parole, mi rendo conto che sarebbe ora che mi decida a rialzarmi e prendere per mano me stesso. Non è facile, e rileggendo queste poche righe mi viene cosi tanto da ridere di fronte a questa psicanalisi spicciola che quasi quasi chiudo la pagina. Poi mi ricordo che si parla della mia vita, e il sorriso svanisce molto velocemente. Cosi come a poco a poco si sta chiudendo dentro se stessa la mia voglia di ridere. E mi fa male sentirmi incapace di ridere senza motivo.

Non mi sento a mio agio nella società in cui vivo. Sto diventando un mezzo rincoglionito iroso con la vita. Ma tu dimmi se una persona come me deve farsi influenzare in questo modo da quello che ci circonda. Eppure, porco il clero, non riesco a farmene una ragione: non ci riesco a sentire una serie di discorsi stronzi, stupidi e superficiali; non ci riesco a sentire l’esternazione e l’esaltazione di qualsiasi sentimento umano; odio i discorsi privi di senso e le persone che non sanno di cosa parlare. Odio chi esce solo per bere, fumare, contatto umano, bisogni fisici o quant’altro; io sono interessato a un sacco di cose: mi piace la fotografia, mi interessa la politica, mi interessa lo sport, e non continuo perchè non ho voglia di fare gli elenchi; come tante persone, sono guidato dalla curiosità! Come puoi vivere senza essere curioso di tutto quello che ti circonda? Io non concepisco la piattezza della vita. E non ho la minima intenzione di entrare nella routine lavora-produci-consuma-crepa. Non ho la minima intenzione di perdere tempo in qualcosa che non tocca le corde della mia anima; e questo vale anche per i rapporti umani. Ma come si può parlare con chi ti non ti risponde se gli chiedi qualcosa? O se non ti chiede nulla della tua vita? Io devo ancora capire il motivo per cui le persone parlano ore e ore fregandosene altamente di quello di cui stanno parlando. Provate a fare un esperimento fichissimo: sedetevi ad un bar facendo finta di leggere, e ascoltate le conversazioni delle persone; e non pensate che se andate al bar dell’università sono tanto diverse eh! Cioè, io non pretendo che tutti si massacrino le palle discutendo sempre di cose serie, o pesanti, eccetera eccetera; ma possibile che non lo fanno mai, o quasi? Possibile che quando qualcuno cerca di fare un discorso serio subito parte il: ” che palle, ecco il discorso pesante!”. Mettiamola cosi, preferisco stare chiuso in me stesso, piuttosto che condividere solo qualcosa di superficiale con chi mi circonda. Piccolo particolare: con me stesso non ci sto nemmeno particolarmente bene! Ecco la falla!

Cerco di mettere in pratica i miei ideali, e mi infrango contro un muro. Bene, questo è un altro importante motivo per cui la mia autostima è pericolosamente precipitata verso lo zero. Partiamo da un esempio. Allora un uomo, un ragazzo di dieci anni ha un sogno: quello di diventare il più grande calciatore d’Italia; e qua possiamo aggiungere, se ci mettiamo tutti gli sport, un miliardo di persone nel mondo; si infrange il suo sogno nel momento in cui ha la consapevolezza che non riuscirà mai a farlo; benissimo, non si perde d’animo e va avanti; ha altri interessi questo ragazzo, e studia tanto; sogna in grande, sogna fino al punto che pensa di poter riuscire a cambiare radicalmente la sua vita: si vede lontano dalla sua realtà limitata, si vede lontano, in un paese in cui potrà vivere facendo proprio quello che ha sempre sognato: il pittore. Ora prendiamolo nei suoi anni di liceo artistico, nelle prime sbornie, nei primi amori, nei primi casini adolescenziali: l’epoca più pura e colorata della sua vita, trascorre molto simile a quella dei suoi coetanei. Solo che lui è un minimo tormentato dai suoi sogni: non troppo, ma quel tanto che gli basta per renderlo inquieto e sensibile. Ha gli occhi grandi e la testa intasata. E decide di aggrapparsi ai suoi sogni, nonostante coloro che lo circondano siano diversi da lui: ogni tanto si chiede perchè ai suoi amici, non brillano gli occhi nel momento in cui parlano del loro futuro; lui è spaventato quando ne parla: come se stesse trasportando una lastra di cristallo in mezzo al traffico di una grande città; ha paura che i suoi sogni vadano in frantumi. E continuamente ribadisce a se stesso che ciò non avverrà, che non sarà il suo caso, e che lui farà di tutto nella vita per realizzare i suoi sogni. E ci crede, fino nel profondo della sua anima; storce il naso quando sente i suoi genitori che gli rimproverano il suo percorso di vita, e, ostinatamente, continua imperterrito a non ascoltare i suoi amici: non capisce perchè i loro sogni non sembrino poi cosi belli come il suo; il suo sogno è cosi bello, cosi speciale per lui, e non lo cambierebbe per nulla al mondo. Va avanti per la sua strada, continua i suoi studi, lavora ogni giorno per raggiungere il suo obiettivo; non ci dorme la notte, e ogni ritaglio del suo tempo libero, riesce a dedicarlo alla realizzazione del suo sogno: dipinge, legge e si informa su come poter diventare un pittore! Si iscrive all’Accademia, lavora per mantenersi gli studi, viene costretto a stare ore e ore sui libri per imparare concetti di cui non capisce e non approva nulla; ma lo fa sempre con il sorriso sulle labbra. Poi arriva un bel giorno, un giorno in cui gli dicono che deve smetterla; ma si, gli dicono, adesso basta! Non puoi mica continuare tutta la tua vita a startele li, con quegli occhi da idealista e da sognatore, a pensare sul serio di diventare un pittore? E’ tempo che inizi a pensare seriamente alla vita. Pensare seriamente alla vita. Io non ho mai capito cosa dovrebbe significare quest’espressione. E non l’ha capita nemmeno quel povero ragazzo. I suoi sogni si sono infranti e la storia resta li, sospesa nel vuoto. Cambiate qualche caratteristica del racconto e vi metterete nei miei panni. Io non so come continuare quella storia, o almeno, lo sapevo fino a qualche tempo fa. Adesso sono tremendamente stufo e deluso; io penso continuamente alla mia vita, e spesso a quella delle persone che mi circondano. Ma non riesco a comunicare questo mio sentimento agli altri, forse è questo il problema. Forse non riesco a far capire a chi mi circonda l’importanza dei miei ideali, della mia curiosità del mondo. O forse in realtà non sono poi tanto interessati a quest’argomento; molto probabile che quest’ultima affermazione sia quella più vicina alla realtà.

Questo è quello che mi blocca e mi distrugge nel mio intimo; il percorso della mia vita, il raggiungimento dei miei sogni è cambiato in maniera definitiva? Non lo so, e credo in ogni caso di no. Ma è dura per quanto mi riguarda; è dura doversi trovare quotidianamente di fronte ad una realtà sociale che non si accetta poi fino in fondo. Non so per quanto altro tempo durerò, e cerco ogni giorno di lottare e di cambiare questa situazione. La lotta continua.

Al prossimo Post, più interessante sicuramente.

R.

Il sei aprile duemila e nove

Pubblicato: febbraio 25, 2011 in Mystic

Manca poco più di un mese al sei aprile duemila e undici; quindi stanno per passare due anni da quel giorno. Due lunghi anni da una giornata che molte persone vorrebbero cancellare dalla propria esistenza.

Il sei aprile del duemila e nove c’è stato il terremoto nel capoluogo dell’Abruzzo, L’Aquila. Alle 3 e 32 di notte è scoppiato il putiferio. Quel giorno ha cambiato una parte della mia esistenza; anzi, diciamo che ha lasciato un solco profondo nella mia anima. Stavo rileggendo il libro della Professoressa Giusi Pitari, “trentotto secondi”, e ho dovuto fermarmi al terzo racconto. Non ce la facevo a continuare nella lettura, è troppo forte il ricordo di quel periodo della mia vita. E io non sono una persona coinvolta in prima persona; non posso nemmeno pensare alle persone che hanno perso la vita; non posso conoscere il dolore di quelle persone che sono scampate al terremoto, ma che devono fare i conti con il loro dolore.

Quella giorno io la scossa non l’ho sentita. Ho un vago ricordo di essermi svegliato durante la notte e di aver sentito mia madre che entrava in camera spaventata; ma mi sono riaddormentato subito, da noi, sulla costa, al massimo ci sono tremati i letti. La mattina, appena mi sveglio, mia madre mi dice quello che era successo; m’ha detto qualcosa del tipo: ma stanotte non hai sentito niente? C’è stato il terremoto all’Aquila! E io che non capivo le chiedevo spiegazioni. Il panico mi ha avvolto quando ho acceso internet e ho visto cosa era successo. Ho visto le prime immagini e subito mi sono venuti in mente tutti i miei amici che studiavano all’Aquila. Non sapevo che fare e ho iniziato a telefonare a tutti, ma non mi rispondevano. Per fortuna a mezzogiorno, fra giri di chiamate e altro, sapevo che tutti i miei amici erano salvi. Ma c’erano ancora tante macerie, c’erano ancora informazioni incomplete. Non si capiva nulla.

Nei due giorni seguenti le notizie si facevano più esaurienti, ed è iniziato il mio terremoto interiore: nel nostro comune, Pineto, ci si è subito organizzati per una grande gestione dell’emergenza; il palazzo polifunzionale è stato interamente dedicato al soccorso degli sfollati aquilani rimasti senza casa: in quel primo momento si parlava di numeri assurdi, miliaia di persone che avevano perso tutto. Io, come tantissimi altri ragazzi, mi sono messo a disposizione subito come volontario: il sette aprile ho partecipato ad una raccolta alimentare, l’otto aprile sono andato al secondo piano del polifunzionale per aiutare nella sistemazione dell’abbigliamento che si stava raccogliendo, il nove sono andato a pulire alcuni camper che eventualmente si potevano usare come sistemazione provvisoria.

Tutto è cambiato il dieci e l’undici aprile, giorni in cui nel polifunzionale, al reparto del vestiario è servito un approccio diverso: la quantità di vestiti che arrivavano era grandissima, e bisognava organizzarsi fra noi volontari. Eravamo un gruppetto di una trentina di ragazzi, dai 16 ai 80 anni, e siamo stati perfettamente in grado di gestire quel posto per un mese intero! Un mese! Io non riesco a crederci se ci penso ora, ma per un mese in quel posto, dalla tarda mattinata fino alla notte, siamo stati ficcati in quel posto. Ho conosciuto moltissime persone che in quel momento di emergenza non hanno detto a, e si sono chinati a piegare maglie, a raccogliere scarpe, a pulire, e soprattutto, ad accogliere le persone. Io non sono stato bravissimo in questo, devo dire che, nel momento in cui potevo evitare di farlo, mi tiravo indietro: ma ci sono state persone che hanno dato tutto il loro tempo, il giorno di pasqua, tutta la settimana santa per stare dentro quel posto; io sono onorato di essere stato al loro fianco in quei momenti, non facili per ognuno di noi. Eravamo dei semplici ragazzi, molti di loro venivano li per divertirsi e per fare casino, per bere e per fumare. Ma nessuno di noi ha esitato nell’offrire il proprio aiuto e il proprio tempo; tutti hanno cercato di sorridere a quelle persone che entravano a umiliarsi di fronte a noi; c’è chi ha versato lacrime perchè trattato male da qualche aquilano, e c’è chi ha versato più di una lacrima perchè tutti gli aquilani, quando andavano via, ci guardavano e ci dicevano: grazie per tutto quello che fate, molti di noi, quelli che hanno veramente bisogno, non vengono qui, e forse noi nemmeno ce la meritiamo tutta questa gratitudine. Io ho guardato i loro occhi e le loro facce: non sono un tipo che ricorda i volti delle persone, non ho una particolare memoria visiva. Ma difficilmente potrei dimenticare tutte le persone che entravano e mi chiedevano se erano finalmente arrivate le scarpe nuove; nei mesi successivi, quando passeggiavo in giro per Pineto o per L’Aquila, ho rivisto quei volti numerose volte: ogni volta è stata una ferita al cuore.

Mi hanno cambiato la vita: quei vestiti, quelle persone che venivano li, per cercare un’umanità portatagli via da uno stupido capriccio della terra, quei ragazzi con cui ho fatto casino, con cui ho riso, scherzato, discusso, parlato di mille cose, mi hanno reso una persona diversa.

Ho imparato l’umiltà di fronte a chiunque; ho imparato che tutto ciò che ci circonda non vale nulla se dentro di esso non vi è un’anima; ho imparato che gli uomini non impareranno mai di fronte alla natura; ho imparato che l’egoismo dell’uomo è sconfinato, anche di fronte al rischio di poter danneggiare un suo simile; ho imparato che le parole non servono a nulla, se non si guarda negli occhi colui che le sta pronunciando; ho imparato che sforzarsi a trovare le parole giuste è semplicemente uno stupido bisogno egoista; ho imparato che il tempo di aiutare gli altri, non è mai abbastanza. Ed ho imparato anche che non bisogna mai smettere di scherzare con qualcuno, anche quando questa persona ha perso tutta la sua vita; ho imparato che il sorriso di qualcuno che non conosci, è più importante del sorriso che cerchi di strappare a colui che conosci; ho imparato che un bambino che corre in un luogo pieno di tristezza, ha la capacità di attirare a sè tutta l’attenzione, e tutti coloro che lo guardano si sentiranno meglio;ho imparato che non esiste un’età giusta per aiutare chiunque abbia bisogno di noi; ho imparato che è veramente difficile non farsi coinvolgere emotivamente dal una tragedia del genere; ed ho imparato anche che è veramente stupido non farsi coinvolgere da una tragedia del genere; ho imparato che spezzarsi la schiena per sollevare duecento scatole piene di abbigliamento, da mezzanotte alle sei del mattino, può non essere quello per cui ho studiato anni della mia vita, ma darei ogni singolo libro, ogni singolo paragrafo, ogni singolo esame che io abbia mai fatto, per sollevare quelle scatole per tutte la mia vita.

Io non sono nessuno per poter parlare di quello che è successo all’Aquila. Ma volevo parlare di quello che L’Aquila ha fatto per me; manca la seconda parte di questo post, quella relativa al post-terremoto, alla tristezza che alberga nel mio cuore da quando non ho più avuto l’opportunità di ripetere una simile esperienza. Ma sono stufo di parlare delle cose tristi; voglio cercare di comunicare qualcosa di diverso dalla tristezza. Ho voluto raccontare quanto eravamo belli noi volontari: noi non eravamo sotto la Protezione Civile, non eravamo con le pettorine del Pros o di altre associazioni che hanno infangato il nome dell’associazionismo in Italia; noi non rispondevamo degli ordini del presidente del consiglio, non abbiamo intascato soldi e non abbiamo fatto nessun appalto pubblico truccato; non abbiamo cercato di guadagnare dalle macerie, e non ci è passata nemmeno nella mente l’idea di speculare su una tragedia simile. C’è chi lo ha fatto, e forse ne parlerò più avanti; ma qui ho voluto parlare di quello che eravamo noi: un branco di ragazzi, di uomini, donne, ragazzini, ragazzine, insegnanti, suore, scout, ubriaconi, festaioli, scansafatiche, pensionate e non so più nemmeno chi diavolo manca all’appello; noi che abbiamo vissuto insieme e abbiamo creato un capito speciale nel libro della nostra vita; noi che ci siamo organizzati spontaneamente, e nessuno dava gli ordini; noi che eravamo tutti uguali e decisi in quello che facevamo; noi che ci credevamo; ci credevamo cazzo! E nessuno potrà mai sporcare quello che abbiamo fatto in quei giorni; nessuno potrà mai cancellare la bellezza delle nostre azioni. Non dimenticherò mai nulla di quei giorni, e mai potrei farlo. Con tutto me stesso, spero che un giorno riuscirò a provare quelle emozioni con un progetto che mi impegni per il resto della mia vita.

A presto

R.

Link del giorno:

Le vittime del terremoto aquilano

Pesi nel cuore

Pubblicato: febbraio 23, 2011 in Mystic, Policy

Vorrei iniziare a parlare del paese in cui vivo; è uno dei motivi per cui è nato questo blog, per cui il mio fegato rischia l’implosione quotidiana, per cui sono tempestato da sentimenti distruttivi.

L’Italia è un paese in declino inesorabile; non serve specificare ne il cosa ne il quando: la maggior parte di ciò che ci circonda in questo stato, non funziona come dovrebbe. Naturalmente questo non fa altro che creare una serie di problemi strutturali. Ma cerchiamo di proseguire in maniera lineare: devo provarci, altrimenti inizio a lanciare insulti e maledizioni contro questo schermo piatto, e non mi sembra una cosa costruttiva.

Sono cresciuto in un paese che è cambiato non poco da quando ero nell’età adolescenziale, o almeno questa è l’idea che mi sono fatto io a sommi capi; comunque, ero in un’epoca diversa da quella attuale: lo scenario sociale, infatti, degli anni novanta, è profondamente diverso da quello del nuovo secolo. Su cosa mi baso per poter dire queste affermazioni? Sulla mia esperienza personale, e tanto basta; la mia onestà intellettuale mi impedisce di mentire.

In ogni caso, l’inizio del declino di questo stato, per quanto mi riguarda, avviene nel campo dell’istruzione: le riforme scolastiche sono riuscite a creare una società in cui ha sempre meno valore la cultura, in cui il titolo di studio lentamente e inesorabilmente, scende di livello.

Questo passaggio va spiegato meglio: si sono susseguite in questo triste paese quattro riforme (tre e mezzo diciamo) scolastiche in pochi anni; la riforma Berlinguer (1997-2000), la riforma Moratti (2003-2006), l’intermezzo Fioroni (2006),e quella splendida riforma della Gelmini (2010). Ora, voi capirete bene  che non ha alcun senso che in cosi pochi anni si vada a toccare un ambito particolare e delicato come quello dell’istruzione pubblica: si rischia semplicemente di rovinare quello che di positivo c’era in questo settore. E questo è il risultato di questi interventi.

La Riforma Berlinguer era un tentativo di svecchiare e di innovare la scuola italiana: si cambiavano i cicli scolastici, si imponeva l’obbligo fino a 18 anni, e si iniziava a pensare al fatto che scuola e lavoro dovessero andare di pari passo; non ho vissuto sulla mia pelle questa riforma: è durata poco, fino al 2003; è fallita nel suo intento.

La Riforma Moratti cancella la vecchia riforma: praticamente un nuovo tentativo di riformare i cicli scolastici, si cambiano un sacco di nomi, e si incasina ancora di più il numero delle scuole superiore (che iniziano a lievitare); abrogata poi dal governo Prodi nel 2006 (e dalla riforma Fioroni).

La Riforma Fioroni non cambia nulla: c’è una trasformazione dell’esame di stato, l’abrogazione della riforma precedente; insomma un’altra occasione persa.

La Riforma Gelmini è il top di questo percorso: data la crisi economica che questo paese sta vivendo, viene approvata una legge di tagli all’istruzione che viene fatta passare come riforma; non entro in dettaglio della legge, perchè merita un capitolo a parte; volevo solo accennare al fatto che fra tutte le precedenti, la riforma Gelmini ha finito di distruggere l’università italiana (che ho volutamente omesso).

Università: è ora viene il tasto dolente. L’Italia aveva un sistema universitario ottimo da molti punti di vista: è sempre stato carente solo dal punto di vista di preparazione dello studente al mondo del lavoro e questo per impostazioni teoriche che sono diverse dalla maggior parte degli stati mondiali; ma bisogna affermare il contrario invece, del nostro bagaglio di conoscenze. Toccare l’università quindi, doveva essere qualcosa di delicato, fatto con i docenti,gli alunni e i rappresentanti del mondo del lavoro. Voi credete che le persone che hanno legiferato su questo argomento, abbiano la minima idea di cosa sia una facoltà? Non sanno nulla e l’hanno dimostrato con le loro riforme.

Tutto parte da un equivoco di fondo: nel 1999 c’è stato il famoso Accordo di Bologna, in cui i ministri dell’istruzione europei sono arrivati a stipulare un patto ( Link ); cito un passaggio di Gaia Calligaris

le direttive europee (già partite con la dichiarazione della Sorbona del ’98) prevedono infatti “l’armonizzazione dei sistemi di istruzione superiore” e si propongono come obiettivi principali:
• “l’adozione di un sistema di titoli comparabili per peso”, che diventeranno in concreto i CFU; tale iniziativa punta a contabilizzare la quantità di tempo dedicata all’apprendimento.
• l’introduzione del nuovo ordinamento del 3+2 attraverso il quale si cerca di abbreviare il percorso di studi degli studenti al fine di un loro più veloce inserimento nel mondo del lavoro.
• l’istituzione di 42 classi di laurea triennale e 104 di laurea specialistica, ognuno dei quali ha pari validità indipendentemente dall’ Ateneo (valore legale del titolo di studio).

La dichiarazione di Bologna rientra nel processo d’integrazione europea, che prevede l’adeguamento del sistema formativo di ogni paese dell’UE alle nuove esigenze del mercato del lavoro europeo che per affermarsi necessita di una forza lavoro con un certo grado di qualificazione ed estremamente flessibile, costantemente impegnata in un processo di “formazione permanente” dentro e fuori l’università.

ZECCHINO

L’Italia, per una volta, arriva prima di tutti gli altri paesi europei: già nel novembre ’99, con la riforma Zecchino, si attuano le linee guida della dichiarazione di Bologna. In sostanza si istituiscono il 3+2, il sistema dei crediti (CFU) e l’autonomia didattica degli atenei.
Gli intenti dichiarati sono l’innalzamento del numero dei laureati, l’introduzione di una maggior varietà di percorsi formativi e il rafforzamento del legame tra istruzione e mondo del lavoro.
Non ci è però difficile tratteggiare il “lato oscuro” delle direttive europee in materia, che prevede sì un aumento nominale del numero di laureati sul totale della forza lavoro, e la loro più giovane età di conseguimento del titolo, ma a condizione di una formazione in generale dequalificata, che sfocia in un mercato del lavoro che lascia poche aspettative, e ancor meno certezze.
La pretesa varietà dei percorsi formativi, unita al sistema dei crediti, implica soprattutto un sapere frammentato, specializzato nella sua suddivisone in moduli e in micro-discipline, un sapere disorganico e senza possibilità di rielaborazione critica. Una vasta scelta di prodotti simili e spesso inutili.

MORATTI

Il sistema del doppio livello di laurea, pensato come meccanismo di selezione dei laureati, non si rivela all’altezza delle aspettative: troppi studenti accedono alla specialistica a dimostrazione dell’effettiva svalutazione della triennale.
La riforma Moratti procede sullo stesso tracciato della Zecchino tentando di ovviarne le disfunzioni, andandone così a modificare vari aspetti. In particolare il 3+2 viene trasformato in 1+2+2, che accentua la disorganicità del processo formativo, e si intima per legge alle facoltà di inserire precisi sbarramenti all’ ingresso delle lauree specialistiche (e magistrali).
Inoltre il Ddl sullo statuto della docenza introduce nuovi elementi di precarietà per i ricercatori, allungando a 13 anni l’iter da percorrere per accedere alla cattedra (3 anni di dottorato post laurea, 4 di assegno di ricerca e 6 anni di contratto a tempo determinato).
Da ultimo, la riforma Moratti rafforza le possibilità d’intervento delle aziende all’interno degli atenei istituendo cattedre convenzionate con imprese del territorio che usufruiscono, attraverso l’ istituzione di stage e tirocini, di forza lavoro a costo zero.

Questo per farvi capire come è stata disintegrata l’università italiana; attenzione, non a causa degli accordi di Bologna, firmati, dopo anni di discussioni, insieme ad altri paesi europei. Ma per tutto ciò che di contorno è stato inserito nella riforma: ricercatori (distrutti), triennale (priva di effettivo valore, solo in Italia), rapporti aziende-laureati (inesistenti); capite quindi che, come al solito, in questo paese non c’è stata la capacità di legiferare con professionalità da parte dei ministri, su un argomento cosi importante.

Risultati? L’università italiana perde sempre più il suo prestigio, la laurea vale sempre meno a livello di sbocchi professionali, e sempre meno risorse vengono investite nella cultura e nello sviluppo; non ci sono soldi per i progetti extra-universitari, i tirocini non vengono retribuiti, gli stage nemmeno, e bisogna inventarsi una professione o un modo per entrare nel mondo del lavoro. Mettetevi nei panni di un ragazzo con queste premesse, e andate a cercare lavoro con la vostra laurea triennale (di qualsiasi facoltà, da ingegneria a filosofia); il mondo del lavoro vi risponderà che non c’è posto per voi.

Ecco spiegato il motivo per cui la disoccupazione giovanile si trova al 30%. Aggiungiamo che c’è tutt’ora una grave crisi economica (che in Italia ci ostiniamo a minimizzare) ed è chiuso lo splendido quadretto. Restano i binari del treno? Certo che no, anche se la tentazione di gettarci i responsabili è molto forte. E forse è l’unica via sana di rinnovamento del nostro paese.

Ora, ho fatto questa premessa sull’istruzione poichè è fondamentale per afferrare il concetto di cui sto parlando. La mia instabilità mentale degli ultimi tempi deriva proprio da questa situazione di fondo (oltre ad altre di cui parlerò in seguito); io dovrei far parte di questo sistema di laureati che vanno in giro per l’Italia elemosinando un posto di lavoro, nel 50% dei casi neanche attinente con quello per cui hanno studiato, e nel 90% indignitoso a livello remunerativo? Penso proprio che non mi interessa minimamente; preferisco pulire i cessi nella vita, fare il cameriere, fare il mozzo su una nave, aiutare in una fattoria, fare il volontario per una vita. E’ molto più gratificante a questo punto; ma può un ragazzo di diciotto anni iniziare i suoi studi universitari con l’idea che quello che sta facendo un giorno gli darà l’opportunità di intraprendere la carriera lavorativa che ha sempre sognato, per poi scoprire, dopo anni, che hanno volutamente omesso di dirgli che sarebbe stato alquanto difficile, se non impossibile, che ciò sarebbe avvenuto? Una società dovrebbe salvaguardare se stessa e i membri che vivono al proprio interno:mentre la mia società ha scelto di farsi governare da un elite di persone che è esclusivamente interessata alla prosecuzione della propria stirpe. Bene, io sono schifato da questo aspetto politico e sociale che ci circonda: il problema è che mi sento sempre più solo; solitudine che non deriva dal fatto che non ci sono persone che la pensano come me: di giovani che vi diranno queste cose, l’Italia è piena. E’ una solitudine mentale, figlia di una scelta di asocialità non del tutto razionale. Sono perseguitato nel mio intimo, è come se mi sentissi un peso enorme dentro me stesso che non mi fa andare avanti. E’ difficile reagire a questa convinzione che ciò che mi circonda sia totalmente negativo; non voglio diventare un cinico pessimista, scontroso e totalmente nevrotico verso la vita (nonostante il pericolo che accada proprio questo, non è poi cosi lontano); sono combattuto dentro, non so come dovrei reagire e mi da un fastidio enorme continuare ad andare avanti in questa situazione. Voi direte, piantala e agisci. Bene, questo è il fulcro principale della mia vita: tutte le volte che ho agito ed è andata male, nel senso che sono state messe in discussione le mie ideologie di fondo, le mie scelte più intime, io sono crollato psicologicamente e fisicamente. Cosa che mi rende inerme di fronte alla vita. Forse dovrei rivedere il mio approccio con la società che mi circonda, ma non penso che valga la pena mettersi realmente in discussione per essa: lo farei solo per me stesso;  si, sto divagando.

Comunque avevo intenzione di parlare un minimo del mio disagio interiore e non riesco a farlo in maniera lineare, razionale ed esplicativa; inizio a scrivere una serie di frasi sconnesse l’una dall’altra: seguono il filo altalenante e pericoloso dei miei pensieri.

In ogni caso, vorrei poter comprendere meglio se vale realmente la pena, in questa società tentare di cambiare, di modificare quello che circonda: non è forse più comodo ritirarsi da tutto e da tutti? Non è forse più semplice evitare di rovinarsi l’anima nel vano tentativo di cambiare realmente ciò che sta intorno a noi?

No, non ho gettato la spugna, naturalmente. Se lo avessi fatto, tutto questo non esisterebbe, forse non esisterei neanche più io come persona poichè mi sentirei totalmente annullato. Solo che è pesante mentalmente; lottare quando si ha uno scopo, resistere quando si ha un motivo ben preciso è lineare; cercare di Rivoluzionare quello che ci circonda è un’impresa ben diversa. Ma, sia ben chiaro, non ho la minima intenzione di ammainare bandiera bianca. O almeno, questo è quello che sto cercando di fare.

Per oggi ho scritto un sacco, come al solito ho iniziato trenta discorsi, e non ne ho chiuso neanche uno; non vorrei abituarvi cosi male, ma siete costretti a sopportarmi: in realtà basta cliccare quella x in alto a destra, e smetterò di farvi perdere tempo con le mie chiacchiere. Ma spero che quella x non la premerete mai! C’è una Rivoluzione da teorizzare insieme!

Revolutopico

 

 

Link Del Giorno:

http://www.nationstates.net/ (fanstastico giochino dove potete crearvi una nazione con la sua economia e la sua tipologia di governo: il nostro stato non ci piace? Ne creiamo uno nuovo ahah)