Vorrei iniziare a parlare del paese in cui vivo; è uno dei motivi per cui è nato questo blog, per cui il mio fegato rischia l’implosione quotidiana, per cui sono tempestato da sentimenti distruttivi.
L’Italia è un paese in declino inesorabile; non serve specificare ne il cosa ne il quando: la maggior parte di ciò che ci circonda in questo stato, non funziona come dovrebbe. Naturalmente questo non fa altro che creare una serie di problemi strutturali. Ma cerchiamo di proseguire in maniera lineare: devo provarci, altrimenti inizio a lanciare insulti e maledizioni contro questo schermo piatto, e non mi sembra una cosa costruttiva.
Sono cresciuto in un paese che è cambiato non poco da quando ero nell’età adolescenziale, o almeno questa è l’idea che mi sono fatto io a sommi capi; comunque, ero in un’epoca diversa da quella attuale: lo scenario sociale, infatti, degli anni novanta, è profondamente diverso da quello del nuovo secolo. Su cosa mi baso per poter dire queste affermazioni? Sulla mia esperienza personale, e tanto basta; la mia onestà intellettuale mi impedisce di mentire.
In ogni caso, l’inizio del declino di questo stato, per quanto mi riguarda, avviene nel campo dell’istruzione: le riforme scolastiche sono riuscite a creare una società in cui ha sempre meno valore la cultura, in cui il titolo di studio lentamente e inesorabilmente, scende di livello.
Questo passaggio va spiegato meglio: si sono susseguite in questo triste paese quattro riforme (tre e mezzo diciamo) scolastiche in pochi anni; la riforma Berlinguer (1997-2000), la riforma Moratti (2003-2006), l’intermezzo Fioroni (2006),e quella splendida riforma della Gelmini (2010). Ora, voi capirete bene che non ha alcun senso che in cosi pochi anni si vada a toccare un ambito particolare e delicato come quello dell’istruzione pubblica: si rischia semplicemente di rovinare quello che di positivo c’era in questo settore. E questo è il risultato di questi interventi.
La Riforma Berlinguer era un tentativo di svecchiare e di innovare la scuola italiana: si cambiavano i cicli scolastici, si imponeva l’obbligo fino a 18 anni, e si iniziava a pensare al fatto che scuola e lavoro dovessero andare di pari passo; non ho vissuto sulla mia pelle questa riforma: è durata poco, fino al 2003; è fallita nel suo intento.
La Riforma Moratti cancella la vecchia riforma: praticamente un nuovo tentativo di riformare i cicli scolastici, si cambiano un sacco di nomi, e si incasina ancora di più il numero delle scuole superiore (che iniziano a lievitare); abrogata poi dal governo Prodi nel 2006 (e dalla riforma Fioroni).
La Riforma Fioroni non cambia nulla: c’è una trasformazione dell’esame di stato, l’abrogazione della riforma precedente; insomma un’altra occasione persa.
La Riforma Gelmini è il top di questo percorso: data la crisi economica che questo paese sta vivendo, viene approvata una legge di tagli all’istruzione che viene fatta passare come riforma; non entro in dettaglio della legge, perchè merita un capitolo a parte; volevo solo accennare al fatto che fra tutte le precedenti, la riforma Gelmini ha finito di distruggere l’università italiana (che ho volutamente omesso).
Università: è ora viene il tasto dolente. L’Italia aveva un sistema universitario ottimo da molti punti di vista: è sempre stato carente solo dal punto di vista di preparazione dello studente al mondo del lavoro e questo per impostazioni teoriche che sono diverse dalla maggior parte degli stati mondiali; ma bisogna affermare il contrario invece, del nostro bagaglio di conoscenze. Toccare l’università quindi, doveva essere qualcosa di delicato, fatto con i docenti,gli alunni e i rappresentanti del mondo del lavoro. Voi credete che le persone che hanno legiferato su questo argomento, abbiano la minima idea di cosa sia una facoltà? Non sanno nulla e l’hanno dimostrato con le loro riforme.
Tutto parte da un equivoco di fondo: nel 1999 c’è stato il famoso Accordo di Bologna, in cui i ministri dell’istruzione europei sono arrivati a stipulare un patto ( Link ); cito un passaggio di Gaia Calligaris
le direttive europee (già partite con la dichiarazione della Sorbona del ’98) prevedono infatti “l’armonizzazione dei sistemi di istruzione superiore” e si propongono come obiettivi principali:
• “l’adozione di un sistema di titoli comparabili per peso”, che diventeranno in concreto i CFU; tale iniziativa punta a contabilizzare la quantità di tempo dedicata all’apprendimento.
• l’introduzione del nuovo ordinamento del 3+2 attraverso il quale si cerca di abbreviare il percorso di studi degli studenti al fine di un loro più veloce inserimento nel mondo del lavoro.
• l’istituzione di 42 classi di laurea triennale e 104 di laurea specialistica, ognuno dei quali ha pari validità indipendentemente dall’ Ateneo (valore legale del titolo di studio).
La dichiarazione di Bologna rientra nel processo d’integrazione europea, che prevede l’adeguamento del sistema formativo di ogni paese dell’UE alle nuove esigenze del mercato del lavoro europeo che per affermarsi necessita di una forza lavoro con un certo grado di qualificazione ed estremamente flessibile, costantemente impegnata in un processo di “formazione permanente” dentro e fuori l’università.
ZECCHINO
L’Italia, per una volta, arriva prima di tutti gli altri paesi europei: già nel novembre ’99, con la riforma Zecchino, si attuano le linee guida della dichiarazione di Bologna. In sostanza si istituiscono il 3+2, il sistema dei crediti (CFU) e l’autonomia didattica degli atenei.
Gli intenti dichiarati sono l’innalzamento del numero dei laureati, l’introduzione di una maggior varietà di percorsi formativi e il rafforzamento del legame tra istruzione e mondo del lavoro.
Non ci è però difficile tratteggiare il “lato oscuro” delle direttive europee in materia, che prevede sì un aumento nominale del numero di laureati sul totale della forza lavoro, e la loro più giovane età di conseguimento del titolo, ma a condizione di una formazione in generale dequalificata, che sfocia in un mercato del lavoro che lascia poche aspettative, e ancor meno certezze.
La pretesa varietà dei percorsi formativi, unita al sistema dei crediti, implica soprattutto un sapere frammentato, specializzato nella sua suddivisone in moduli e in micro-discipline, un sapere disorganico e senza possibilità di rielaborazione critica. Una vasta scelta di prodotti simili e spesso inutili.
MORATTI
Il sistema del doppio livello di laurea, pensato come meccanismo di selezione dei laureati, non si rivela all’altezza delle aspettative: troppi studenti accedono alla specialistica a dimostrazione dell’effettiva svalutazione della triennale.
La riforma Moratti procede sullo stesso tracciato della Zecchino tentando di ovviarne le disfunzioni, andandone così a modificare vari aspetti. In particolare il 3+2 viene trasformato in 1+2+2, che accentua la disorganicità del processo formativo, e si intima per legge alle facoltà di inserire precisi sbarramenti all’ ingresso delle lauree specialistiche (e magistrali).
Inoltre il Ddl sullo statuto della docenza introduce nuovi elementi di precarietà per i ricercatori, allungando a 13 anni l’iter da percorrere per accedere alla cattedra (3 anni di dottorato post laurea, 4 di assegno di ricerca e 6 anni di contratto a tempo determinato).
Da ultimo, la riforma Moratti rafforza le possibilità d’intervento delle aziende all’interno degli atenei istituendo cattedre convenzionate con imprese del territorio che usufruiscono, attraverso l’ istituzione di stage e tirocini, di forza lavoro a costo zero.
Questo per farvi capire come è stata disintegrata l’università italiana; attenzione, non a causa degli accordi di Bologna, firmati, dopo anni di discussioni, insieme ad altri paesi europei. Ma per tutto ciò che di contorno è stato inserito nella riforma: ricercatori (distrutti), triennale (priva di effettivo valore, solo in Italia), rapporti aziende-laureati (inesistenti); capite quindi che, come al solito, in questo paese non c’è stata la capacità di legiferare con professionalità da parte dei ministri, su un argomento cosi importante.
Risultati? L’università italiana perde sempre più il suo prestigio, la laurea vale sempre meno a livello di sbocchi professionali, e sempre meno risorse vengono investite nella cultura e nello sviluppo; non ci sono soldi per i progetti extra-universitari, i tirocini non vengono retribuiti, gli stage nemmeno, e bisogna inventarsi una professione o un modo per entrare nel mondo del lavoro. Mettetevi nei panni di un ragazzo con queste premesse, e andate a cercare lavoro con la vostra laurea triennale (di qualsiasi facoltà, da ingegneria a filosofia); il mondo del lavoro vi risponderà che non c’è posto per voi.
Ecco spiegato il motivo per cui la disoccupazione giovanile si trova al 30%. Aggiungiamo che c’è tutt’ora una grave crisi economica (che in Italia ci ostiniamo a minimizzare) ed è chiuso lo splendido quadretto. Restano i binari del treno? Certo che no, anche se la tentazione di gettarci i responsabili è molto forte. E forse è l’unica via sana di rinnovamento del nostro paese.
Ora, ho fatto questa premessa sull’istruzione poichè è fondamentale per afferrare il concetto di cui sto parlando. La mia instabilità mentale degli ultimi tempi deriva proprio da questa situazione di fondo (oltre ad altre di cui parlerò in seguito); io dovrei far parte di questo sistema di laureati che vanno in giro per l’Italia elemosinando un posto di lavoro, nel 50% dei casi neanche attinente con quello per cui hanno studiato, e nel 90% indignitoso a livello remunerativo? Penso proprio che non mi interessa minimamente; preferisco pulire i cessi nella vita, fare il cameriere, fare il mozzo su una nave, aiutare in una fattoria, fare il volontario per una vita. E’ molto più gratificante a questo punto; ma può un ragazzo di diciotto anni iniziare i suoi studi universitari con l’idea che quello che sta facendo un giorno gli darà l’opportunità di intraprendere la carriera lavorativa che ha sempre sognato, per poi scoprire, dopo anni, che hanno volutamente omesso di dirgli che sarebbe stato alquanto difficile, se non impossibile, che ciò sarebbe avvenuto? Una società dovrebbe salvaguardare se stessa e i membri che vivono al proprio interno:mentre la mia società ha scelto di farsi governare da un elite di persone che è esclusivamente interessata alla prosecuzione della propria stirpe. Bene, io sono schifato da questo aspetto politico e sociale che ci circonda: il problema è che mi sento sempre più solo; solitudine che non deriva dal fatto che non ci sono persone che la pensano come me: di giovani che vi diranno queste cose, l’Italia è piena. E’ una solitudine mentale, figlia di una scelta di asocialità non del tutto razionale. Sono perseguitato nel mio intimo, è come se mi sentissi un peso enorme dentro me stesso che non mi fa andare avanti. E’ difficile reagire a questa convinzione che ciò che mi circonda sia totalmente negativo; non voglio diventare un cinico pessimista, scontroso e totalmente nevrotico verso la vita (nonostante il pericolo che accada proprio questo, non è poi cosi lontano); sono combattuto dentro, non so come dovrei reagire e mi da un fastidio enorme continuare ad andare avanti in questa situazione. Voi direte, piantala e agisci. Bene, questo è il fulcro principale della mia vita: tutte le volte che ho agito ed è andata male, nel senso che sono state messe in discussione le mie ideologie di fondo, le mie scelte più intime, io sono crollato psicologicamente e fisicamente. Cosa che mi rende inerme di fronte alla vita. Forse dovrei rivedere il mio approccio con la società che mi circonda, ma non penso che valga la pena mettersi realmente in discussione per essa: lo farei solo per me stesso; si, sto divagando.
Comunque avevo intenzione di parlare un minimo del mio disagio interiore e non riesco a farlo in maniera lineare, razionale ed esplicativa; inizio a scrivere una serie di frasi sconnesse l’una dall’altra: seguono il filo altalenante e pericoloso dei miei pensieri.
In ogni caso, vorrei poter comprendere meglio se vale realmente la pena, in questa società tentare di cambiare, di modificare quello che circonda: non è forse più comodo ritirarsi da tutto e da tutti? Non è forse più semplice evitare di rovinarsi l’anima nel vano tentativo di cambiare realmente ciò che sta intorno a noi?
No, non ho gettato la spugna, naturalmente. Se lo avessi fatto, tutto questo non esisterebbe, forse non esisterei neanche più io come persona poichè mi sentirei totalmente annullato. Solo che è pesante mentalmente; lottare quando si ha uno scopo, resistere quando si ha un motivo ben preciso è lineare; cercare di Rivoluzionare quello che ci circonda è un’impresa ben diversa. Ma, sia ben chiaro, non ho la minima intenzione di ammainare bandiera bianca. O almeno, questo è quello che sto cercando di fare.
Per oggi ho scritto un sacco, come al solito ho iniziato trenta discorsi, e non ne ho chiuso neanche uno; non vorrei abituarvi cosi male, ma siete costretti a sopportarmi: in realtà basta cliccare quella x in alto a destra, e smetterò di farvi perdere tempo con le mie chiacchiere. Ma spero che quella x non la premerete mai! C’è una Rivoluzione da teorizzare insieme!
Revolutopico
Link Del Giorno:
http://www.nationstates.net/ (fanstastico giochino dove potete crearvi una nazione con la sua economia e la sua tipologia di governo: il nostro stato non ci piace? Ne creiamo uno nuovo ahah)